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CHI ERA DOMENICO CESTARI ...

 

 

Domenico Cestari

riformista clodiense

tra Illuminismo e restaurazione

Domenico Gaetano Gasparo Cestari, nato a Chioggia il 16 Maggio 1757, fu uno dei principali esponenti della classe politica clodiense tra la caduta della Repubblica di Venezia e la vigilia della seconda dominazio-ne austriaca.
Appartenente ad una delle più blasonate famiglie della cittadina lagunare, era detentore di un cospicuo patrimonio immobiliare, costituito soprattutto da valli da pesca, da molti decenni principale fonte

di reddito della famiglia, collocato in prevalenza nel ferrarese, ma anche a Chioggia dove legati al nome di Cestari erano una zona dominata “Tombola”, che comprendeva alcuni campi coltivati e una modesta valle, e il celebre palazzo nel centro storico. Tale patrimonio si era formato a partire dalla seconda metà del Seicento, quando Francesco Cestari, bisavolo del nostro, entrò in possesso di alcuni terreni e valli nelle zone di Comacchio, Mesola, Ariano Polesine e Codigoro.
Suo nonno Domenico, abile imprenditore, riuscì ad espandere enormemente questo patrimonio e a ricevere i primi riconoscimenti da parte delle autorità pubbliche: Nel 1701 i Cestari erano nei Consigli di Chioggia, sette anni prima ottennero la cittadinanza di Modena e Ferrara per i servigi prestati alla corte del duca Rinaldo. Tale legame tra i Cestari e principi d’importanti casati è testimoniato da un brano tratto da una lapide andata perduta in cui si accenna all’ospitalità con cui questa famiglia accolse più volte nella propria residenza di Chioggia principi e principesse del Ducato di Modena.
Francesco Cestari, padre del nostro Domenico, ottenne nel1778 il conferimento del titolo comitale da Francesco III° d’Este, sperando così di accrescere il prestigio della propria famiglia in vista di un matrimonio importante: in quell’anno si sposò infatti a Venezia Domenico Cestari con Antonia Maria Giustina della prestigiosa famiglia Rusteghelli. In quei medesimi anni quest’ultimo ottenne la cittadinanza di Bologna ed ereditò dal conte Manzoni, zio materno, un vasto feudo in località Cividale del Friuli, oltre ad alcuni beni allodiali donatigli dalla famiglia imperiale austriaca.
Poco dopo Domenico Cestari intraprese la carriera politica e si interessò nel contempo di cultura (entrò in possesso di una canzone inedita di Torquato Tasso tuttora custodita nella biblioteca del museo civico Correr di Venezia) entrando a far parte di un gruppo di intellettuali che stava lavorando alla redazione di una storia di Chioggia.
All’interno di questo piccolo circolo culturale, in cui si annoveravano alcuni celebri naturalisti, ed alcuni cultori di ritrovamenti antichi, Domenico Cestari rappresentava l’anima letteraria, per le sue numerose composizioni poetiche e orazioni, alcune delle quali date alle stampe, e per una traduzione dal francese rimasta manoscritta.
Il progetto storiografico di questo cenacolo fallì in seguito alla morte, avvenuta nel 1782, del relatore di questo gruppo di lavoro Gasparo dall’Acqua e a causa dell’insorgere di divergenze tra il gruppo dei naturalisti, legato alla cultura illuministica e ad una nuova concezione del ruolo dell’intellettuale nella società e nella politica (costoro si impegnarono infatti nella Municipalità) e il gruppo di cultori di reperti antichi di idee più conservatrici. Nonostante lo scioglimento, il più giovane del gruppo, Domenico Cestari, riordinò il materiale già raccolto e l’anno successivo pubblicò un breve libretto dal titolo “Notizie istoriche et geografiche appartenenti alla città di Chiozza con la carta della città in prospetto”. Già il titolo ci segnala la mancanza di ambizione dell’opera: Le notizie istoriche non pretendono di essere una esaustiva storia di Chioggia, ma una più modesta raccolta di fatti e personaggi, dall’origine della città sino alla metà del Settecento, prendendo spunto da alcune pubblicazioni quali la “Serie de’ Podestà di Chiozza”, pubblicata pochi anni prima da monsignor Gradenigo e da documenti d’archivio.
La scelta di Belluno come luogo di pubblicazione dell’opera assume un particolare significato in quanto l’intento del Cestari non era quello di scrivere una storia della città per la città, ma quello di dare alle stampe un’opera di divulgazione di respiro regionale, che dovesse servire a migliorare l’immagine di Chioggia in tutta la Repubblica, in un’epoca in cui incominciava a diffondersi il fenomeno del turismo culturale e Venezia diventava fondamentale tappa del Gran tour.
Lo scritto, per i suoi contenuti di carattere politico ed economico, poteva essere utile per rilanciare il ruolo di Chioggia dal punto di vista commerciale. La parte più interessante dell’opera è infatti quella di carattere geografico, nella quale Cestari sottolinea l’esistenza nel territorio clodiense di ben tre porti, “cioè quello di Fossone, foce dell’Adige, quello di Brontolo, foce del Brenta, Bacchiglione, ecc., e quello di Chiozza nel principio dei lidi e delle lagune (…) La situazione è assai comoda per il commercio, avendo anche una dogana di transito, ed ivi facendo scala tutte le mercanzie, che per la via di Venezia vengono dalla Germania e dalla Fiandra”.
Una ancor più palese indicazione del carattere promozionale del libro la si desume dall’analisi della carta della città in prospetto. Qui notiamo in particolare rilievo le barche provenienti da tutte le direzioni, ad indicare l’ottima posizione del porto di Chioggia per la sua vicinanza alle foci di molti fiumi e la presenza del ponte Longo, ricostruito pochi decenni prima, che favoriva un migliore accesso alla terraferma. Queste pagine delle notizie istoriche ci dimostrano come il giovane Domenico Cestari, nel momento in cui intraprendeva la propria carriera politica avesse chiare le idee su come rilanciare la città sotto l’aspetto economico. Questi contenuti rappresentano infatti un importante manifesto programmatico che troverà attuazione a partire dalla prima dominazione francese, quando la Municipalità pubblicò le “Indicazioni dei vantaggi che procura il porto di Chioggia al commercio” che inviò al Direttore della Repubblica Cisalpina. La questione portuale fu il cavallo di battaglia della classe politica cittadina della fine del Settecento che, sotto l’influsso dell’Illuminismo e delle idee libertarie, asseriva la necessità della più ampia autonomia di Chioggia dalla dominante dopo secoli di oppressione.
Pochi anni prima dell’avvento dei Francesi Domenico Cestari fu promotore assieme a Giancarlo Lisatti e al famoso naturalista Stefano Andrea Renier della riforma dei fondachi delle farine di Chioggia e Pellestrina. Dallo studio intrapreso nel 1793 sulla condizione di questi due istituti cittadini la commissione stilò tre relazioni date alle stampe :Il “Saggio Storico dei fondachi delle farine di Chioggia, e Pellestrina compilato dal nobil signor conte Domenico Cestari” , Il “Sistema attuale e Piano di regolazione” redatti entrambi dal Renier e pubblicati in un unico volume.
Il saggio del Cestari rappresenta un capolavoro storiografico in grado di conciliare scopi politici ed interessi storico-culturali: Lavorando alla riforma del fondaco l’autore ebbe infatti l’opportunità di compiere una accurata indagine sul modo in cui l’istituto venne gestito nei secoli passati e allo stesso tempo di iscrivere per la prima volta una particolare storia di Chioggia vista attraverso la vita e i mali di tale ente assistenziale. Da questo punto di vista l’opera del Cestari, assieme alla contemporanea “Serie de’ Vescovi di Malamocco e Chioggia” che monsignor Gradenigo diede alle stampe nel 1767, rappresenta una svolta nella pubblicistica dell’opera.
Desta inoltre interesse come novità storiografica l’accurata ricerca archivistica che l’autore compie su registri risalenti fino alla fine del Duecento, con uno scrupolo che egli probabilmente aveva acquisito nel decennio precedente come membro della commissione di intellettuali incaricate di redigere una storia di Chioggia. Il libro è suddiviso in sei epoche, comprendenti complessivamente un periodo di tempo che va dal 1271, anni in cui secondo Cestari già esisteva un fondaco delle farine a Chioggia, al 1791, immediate vigilia della riforma.
Il motivo dominante di tutta l’opera consiste nella descrizione delle continue malversazioni perpetrate ai danni di questo istituto sociale da parte dei suoi stessi amministratori. Ciò provocò, secondo l’autore, un diffuso malessere nella popolazione che diede impulso allo sviluppo di deleterili fenomeni quali il contrabbando.
Il rimedio progettato dai tre riformisti fu l’abolizione dell’agenzia biave e la soppressione di ogni ingerenza pubblica nell’affare farine attraverso la legalizzazione dei traffici particolari sino ad allora rimasti in clandestinità. Secondo il triumvirato che, come si può notare manifestava un certo credo fisiocratico, la liberalizzazione delle vendite scatenando la concorrenza favoriva la diminuzione dei prezzi che comunque rimanevano sotto controllo della comunità attraverso l’opera dei giustizieri, che li conformavano ai valori dei mercati limitrofi.
La riforma, nonostante le buone premesse non sortì gli esiti sperati per la popolazione, nemmeno quando, con l’avvento dei Francesi, fu introdotta la completa liberalizzazione delle compravendite, che non estirpò l’antica piaga del contrabbando. Tuttavia, durante la prima dominazione austriaca, la deputazione stilò una relazione sugli esiti della riforma,  in cui dichiarò positivi i primi riscontri sull’efficacia delle nuove norme introdotte.
L’impegno del Cestari nelle riforme di fine secolo e la sua adesione ai principi illuministici non allarmarono l’Inquisizione di Stato che a proposito della scritta “ le libertas”, leggibile sulla barca con la quale si recava spesso a Venezia, scrisse al podestà dell’epoca Antonio Marin Priuli IV° queste rassicuranti parole: “Non abbiam motivo di sospettare di alcun indiretto fine”.
In effetti Domenico Cestari non era un accanito propugnatore delle nuove idee ma un  riformista moderato che, nel corso della Municipalità democratica, intrattenne proficui rapporti con la Chiesa locale, unica vera autorità in grado di controllare lo spirito di rivalsa della popolazione nei confronti del nuovo governo.
Nel nuovo consesso cittadino egli fu il primo a ricoprire la carica di presidente e a firmare i proclami che stabilivano alcune nuove norme fondamentali della vita cittadina. Dopo pochi giorni dall’instaurazione della Municipalità scese in piazza assieme al vescovo Scerimann a calmare la folla tumultuante che, approfittando dell’inspiegabile assenza delle truppe francesi, aveva distrutto i simboli della rivoluzione. Per questa sua impresa il Cestari fu portato in trionfo dai colleghi e dai pochi simpatizzanti per il nuovo governo cittadino e dichiarato assieme al presule cittadino benemerito della patria.
In qualità di membro del Comitato di Salute Pubblica fu impegnato per tutti gli otto mesi di dominazione francese nel difficile mantenimento dell’ordine pubblico a causa di numerosi atti eversivi e della diffusione di ingiuriosi scritti adespoti.
Si occupò, senza ottenere grandi risultati, per via della netta chiusura delle supreme autorità, dell’esproprio dell’argenteria delle chiese da parte dell’esercito napoleonico, dell’agognata autonomia di Chioggia da Venezia (progetto ben presto sfumato), del rilancio dello scalo marittimo clodiense attraverso contatti con molte municipalità del Veneto e della Lombardia e la diffusione del “Indicazioni dei vantaggi che procura il porto di Chioggia al commercio”, una copia del quale venne consegnata al Direttorio della Repubblica Cisalpina.
Tra le varie proposte che Cestari presentò in Municipalità, le più importanti furono quelle relative alla questione carceraria oggetto sul finire del Settecento di un acceso dibattito politico-culturale sul più ampio tema del diritto penale. La preoccupazione per le condizioni di vita della popolazione carceraria, la possibilità per i reclusi di svolgere attività “socialmente utili”, le discussioni sul significato della pena detentiva e della tortura furono gli argomenti su cui maggiormente si impegnò dimostrando come le proprie idee collimassero con i principi esaltati in quell’epoca in molte carte costituzionali e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Nel corso della prima dominazione austriaca Domenico Cestari si recò a Vienna presso la corte imperiale per chiedere l’istituzione del porto franco di Chioggia e per il mantenimento dei privilegi di cui da tempi remoti la città godeva. Per le confortanti risposte che ottenne dal primo ministro barone de Thugut e dallo stesso Francesco II° gli fu di minor peso il viaggio verso casa, dopo che all’andata, a causa di alcune difficoltà incontrate coi passaporti e per via delle manovre dell’esercito francese e di quello austriaco, fu costretto ad alloggiare in abitazioni di fortuna. Tuttavia alle declamate promesse non seguirono fatti concreti cosicché il nostro cominciò a manifestare una certa ostilità per le nuove autorità costituite, rischiando, in occasione della sollevazione popolare del 20 aprile 1800, severe sanzioni a causa dell’irriverenza con cui trattò il nuovo Giudice vicario al Criminale da poco nominato (secondo Cestari in maniera arbitraria) dalle autorità austriache.
Nei primi anni dell’Ottocento egli si interessò molto dei problemi della scuola. Già nel 1793 aveva redatto nuove regole per la Pia casa delle zitelle, importante istituzione assistenziale clodiese, approntando un piano educativo per le giovani orfane che prevedeva molte ore di lavoro e preghiera e il rigoroso rispetto del regolamento interno, cui si contrapponeva l’abolizione della punizioni corporali.
Tuttavia il progetto presentato nel 1805 dal Cestari che ricopriva assieme a Francesco Fabris ed Angelo Gaetano Vinelli (ex municipalisti) la carica di presidente della commissione alle scuole pubbliche, rappresentava una radicale riforma del sistema scolastico clodiense, poiché prevedeva la creazione di almeno otto scuole maschili e femminili in aggiunta alle due già esistenti, una diffusione capillare degli istituti anche nelle frazioni, fondazione di scuole di livello superiore, maggiore attenzione ai contenuti delle discipline, un più attivo coinvolgimento dei genitori negli studi dei figli.
La riforma si proponeva degli scopi che andavano oltre la sfera dell’istruzione e coinvolgevano l’ambito politico: una rigenerazione culturale della popolazione di Chioggia poteva apportare i suoi benefici effetti nell’amministrazione pubblica che da secoli era colpita dalla grave piaga della corruzione. Tale asserzione è scritta nel testo della riforma delle cariche pubbliche predisposta nel 1803 da Domenico Cestari, Angelo Gaetano Vinelli e Giancarlo Lisatti, che si poneva come fine, oltre all’eliminazione delle malversazioni dei pubblici amministratori, il dimezzamento del corpo politico cittadino e lo snellimento della burocrazia.
Fu questa l’ultima iniziativa degna di rilievo presentata dal Cestari, che, dopo alcuni anni di impegno politico nella seconda dominazione francese, si ritirò nella dimora di Treviso dove visse i suoi ultimi anni.